Domenica
22/08/2004: da Thumel (1897 mt) alla P.ta Calabre (3445 mt)
L’impenetrabile
oscurità avvolge la placida vallata intirizzita nel freddo pungente acuito dalla limpida volta celeste che,
per l’occasione, mostra un generoso tappeto di stelle. Un sottile velo di
brina immobilizza i verdeggianti pascoli smorzando la spiccante livrea estiva
con tonalità più consone alla stagione che verrà.
Solo
la flebile luce della lampada frontale supporta il passo incerto nei primi
tratti di sentiero che, da Thumel (1897 mt) conduce ai 2285 mt del Rifugio
Benevolo. Nella quiete assoluta avanzano i primi albori: gli astri lentamente si
ritirano cedendo la scena alle austere cime che, in abito cupo, svelano
timidamente il nitido profilo di cresta.
I
primi raggi del tanto atteso Sole lambiscono la vetta della Granta Parei quando,
ormai superato il Rifugio Benevolo, risaliamo il pendio erboso sulla sinistra
orografica della valle che, a breve, si
aprirà agli ampi bacini glaciali. L’occhio vigile di un camoscio,
tranquillamente adagiato su una balza rocciosa, scruta la nostra lenta e
cadenzata progressione.
Il
comodo sentiero svanisce ben presto nei sassi instabili della morena glaciale
che, accarezzando gli imponenti bastioni calcarei della Granta Parei, si immerge
nelle quiete acque del Lago Tsanteleynaz; sullo sfondo il Rod du Fond e la Punta
Calabre regnano sovrane alla testata della valle.
Precari
“ometti” lapidei conducono
l’incerto alpinista all’approccio della distesa glaciale mentre ricorrenti
scariche di pietre rompono l’inquietante silenzio delle arcigne pareti della
Granta rammentando l’incessante opera dell’instancabile
Scultore.
Il
ghiacciaio di Tsanteleynaz si propone ora in tutta la sua estensione e
autorevolezza consigliando una marcia prudente e sempre rispettosa. Profondi
crepacci palesano il lavoro del “gigante” che, nell’apparente staticità,
cela il lento ed inesorabile movimento necessario a plasmare la prorompente
orografia alpina.
L’iniziale
severità del ghiacciaio si trasforma nella dolcezza del lieve pendio che, senza
evidenti difficoltà, conduce all’erta finale culminante nell’agognata cima.
L’ampiezza della conca glaciale, sorvegliata ad Occidente
dall’inconfondibile profilo della P.ta Tsanteleynaz, infonde una certa
soggezione gravando l’ormai
stanco passo sugli ultimi tratti, raramente solcati da crepacci di
modeste dimensioni. La distesa bianca si dirada lasciando affiorare le ultime
roccette che, ornate dall’esiguo
manto nevoso accumulatosi il giorno precedente, stridono sotto le spietate punte
dei nostri ramponi; ancora pochi metri e siamo finalmente in vetta!
La
Natura si concede totalmente nella sua bellezza primitiva, incontaminata, in un
quadro infinitamente grande, privo di cornice: tutti i 4000 svettano nel cielo
nel frattempo popolato da innocui cirrostrati mentre, a sud, la Pianura Padana
sfugge all’agguato dell’infida foschia degradando verso la quasi
impercettibile catena appenninica!…….e chiudendo gli occhi lo scenario non
muta, perché qui la montagna si respira, si assapora nelle sottili
sfaccettature che prevaricano la “semplice” percezione visiva. E’ il degno
coronamento di una lunga e faticosa ascesa che, lentamente, porta al totale
distacco da quella realtà quotidiana che, troppo spesso, ci distoglie dalle
nostre arcaiche, e ormai dimenticate, origini.
Scendiamo,
affaticati, nell’arricchita consapevolezza che l’apparente inerzia di queste
vette nasconda, in realtà, l’elegante postura del camoscio, il superbo volo
dell’aquila, il guizzo furtivo della marmotta, gli iridescenti colori delle
viscere glaciali, i piccoli vegetali insediati nell’aspra morena, il rivolo
d’acqua che, scavando la solida superficie glaciale, si getta ogni giorno a
valle donando la vita………e, perché no, la mano generosa di Colui che
modellando questi ameni scorci ha forse reso raggiungibile un autentico
preambolo al Paradiso.
Silvio